Massimo Fiocco, come si è visto, nella sua prima fase ha studiato, scoperto, ricercato. Negli anni tra il 2001 e il 2005 mette a fuoco il suo stile personale cercando un coinvolgimento con lo spettatore, come afferma lui stesso.
“L’intenzione è di chiedere al fruitore una partecipazione al compimento dell’opera. Questo mi ha sempre spinto a realizzare opere che fossero suggestive da questo punto di vista. Enigmatica, non finita, l’opera si ferma ad un certo punto per lasciare ampio margine a chi fruisce ricomponendola come un qualcosa che richiede una partecipazione”.
“Cerco più che un dialogo, un intento, una suggestione. Il quadro si dà come finito, ma se nella cosa finita c’è una dimensione emotiva che riesce a prolungarsi al di là della prima percezione è inevitabile che sia raccolto da chi guarda individuando possibili sviluppi che l’autore stesso non ha preso in considerazione”.
“Un modo per stabilire un contatto al di là dei limiti del tempo, fuori dalla dimensione temporale. L’opera se è ricca di mistero è certo che può anche, con maggiore facilità, completarsi e sopravvivere a se stessa perché viene continuata da di chi viene dopo”.